Il ritratto che il Vasari dedica al Perugino è onesto e feroce: costretto (in gioventù) a dipingere per vivere, e ossessionato dal terrore della povertà, Pietro Vannucci «faceva cose per guadagnare, che e’ non avrebbe forse guardato, se avesse avuto da mantenersi». Era infatti – scrive il Vasari – uomo «di poca religione», e il suo lavoro instancabile al servizio di conventi e monasteri nasce da una formula di successo sfruttata con raffinato cinismo. Che un pittore così sostanzialmente irreligioso abbia potuto diventare un vero e proprio campione dell’arte cristiana, e addirittura un «pittore estatico» sulle soglie della santità, è un equivoco grandioso. Di cui sono una spia infallibile e (forse) involontariamente comica le strane fisionomie dei suoi santi e le vistose cadute di stile. Ma indagato con occhio attento e «poliziesco» l’equivoco getta luce su un fenomeno più ampio: la grande crisi della pittura religiosa nel primo Rinascimento. Nel nuovo spazio figurativo la vecchia iconografia con i suoi simboli tradizionali – come la «mandorla», il nimbo luminoso che avvolge le figure sacre – tramonta, o assume, sopravvivendo, fattezze mostruose. Ci vorranno grandiosi colpi d’ala – da Raffaello a Tiziano – per inventare una pittura di devozione «adatta ai tempi». A rendere grande il pittore di Città della Pieve non è certo la qualità mistica della sua pittura: quando la bellezza pura – anzitutto del volto umano – riesce a liberarsi della gabbia devota e dei panni ufficiali, il Perugino respira in uno spazio di cui Bernard Berenson riconobbe la natura non già religiosa, ma metafisica.
Flavio Cuniberto insegna Estetica all’Università di Perugia. Dopo gli studi in Filosofia a Torino, a Monaco e a Berlino, ha attraversato campi di ricerca in apparenza eterogenei e lontani, dalle teorie estetiche del primo Romanticismo al platonismo classico, dalla cultura tedesca del ’900 alla mistica cristiana e cristiano-orientale, dal problema del «rinascimento» nelle arti figurative alla dinamica delle immagini nella società moderna e contemporanea. Il filo rosso che tiene insieme queste scorribande è l’idea – in sostanza platonica – di una metafisica intesa non come puro «sapere» ma come prassi, come pratica articolata della parola e dell’immagine, e l’analisi della sua progressiva sparizione (o delle sue metamorfosi) nell’orizzonte moderno.Tra le sue pubblicazioni più recenti: Il cedro e la palma. Note di metafisica, Medusa 2008; La foresta incantata. Patologia della Germania moderna, Quodlibet 2010; Germanie. Taccuini tedeschi, Morlacchi 2011; Il vortice estetico, Morlacchi 2015.
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