- 01.05.2006
di
Piergiorgio Sensileggi l'articolo
Nell’introdurre questo lavoro, che rappresenta una prima provvisoria summa delle ricerche sin qui effettuate e parzialmente editate, Silvia Fornari usa la metafora, particolarmente appropriata, del viaggio; ogni lavoro di ricerca è un viaggio di esplorazione e di scoperta, un’avventura nell’ignoto o nel non sufficientemente noto. Ma verso dove? Se il sottotitolo (molto “accademico”) del lavoro sembra indicare una meta prossima e rassicurante (Simmel e le emozioni), il titolo (felicissimo, peraltro) indicante la meta vera e propria è das Unheimliche - il perturbante.
Che cos’è “il” perturbante? Ciò che perturba, ciò che intensamente (per) turba, inquieta, agita e che, di per sé, è oscuro, non chiaro, complesso (turba vale anche “folla”); il perturbante è anche “torbido”, ma torbido perché profondo, denso, vitale; il perturbante è costituito dalle emozioni, dai sentimenti, da “tutta l’emozionalità che accomuna tutti coloro che appassionatamente muovono il proprio agire” (p. 3). L’emozione, appunto e-muove, costringe ad uscir fuori, impedisce la stasi, l’inerzia; e l’emozione è passione, subìta; ma è anche stimolo alla re-azione, e-muove, fa agire, fa costruire legami; ché l’azione sempre e comunque crea legami, vincoli; se l’azione è propriamente umana, crea legami nell’umano, legami sociali: ogni inter-azione sociale è mossa (anche) dalla passione, dal sentimento.
Ora, la dimensione della emozionalità è stata a lungo lasciata ai margini (se non fuori) dalle prospettive di analisi della sociologia, forse perché – a lungo – la sociologia ha inseguito il modello di spiegazione dei fenomeni consentito da quella nozione di “ragione” propria della modernità (la ratio calcolante, la hobbesiana computatio sive logica); nella modernità, cioè, si è imposto come razionale solo il matematizzabile. La ragione calcolante ama il “chiaro e distinto”, il semplice, l’atomico, il geometricamente lineare, non certo il complesso, il torbido. Ma il torbido è il profondo rispetto al quale la ragione calcolante è la “visione di superficie”, per cui il torbido continuamente inquieta e increspa la superficie misurata dalla ragione calcolante, la quale cerca di respingerlo nel profondo o, quanto meno, di narcotizzarlo (“la narcotizzazione delle emozioni”, di cui parla con notevole efficacia la Fornari alle pp. 140-149).
Il perturbante, lo Unheimlich è perciò inquietante, pericoloso. E lo è proprio perché appare spiazzante rispetto alla rappresentazione cosciente (alla “forma” consueta, per dirla con Simmel) della propria “casa” (Heim), del proprio luogo di frequentazione abituale, ordinaria, in cui gli stessi affetti e le stesse emozioni hanno trovato per lo più forma stabile e durevole e, perciò, rassicurante. Ma non è proprio il perturbante ad essere tale perché richiama un’originarietà più intima, profonda e segreta (heimlich) di ciò che la casa cerca di custodire e difendere ma, così facendo, anche nega?
Un primo merito del volume della Fornari è allora quello di portare esplicitamente (e non en passant come in molti altri autori) il perturbante emozionale all’interno dell’indagine sociologica.
Un secondo merito da ascrivere alla giovane autrice è quello di aver “appassionatamente” affrontato il rischio di lasciare una più “domestica” (heimatlich) indagine su un autore studiato sin dai tempi della formazione universitaria, per intraprendere una esplorazione di un territorio “per lo più inesplorato e pieno di insidie” (come scrive F. Fornari nella Prefazione), dando così voce a quella passione che anima ogni autentica ricerca intellettuale e che caratterizza quella dell’Autrice: “un viaggio rappresenta se stessi e le proprie scelte”, “una parte di noi entra a far parte del progetto, del viaggio” (p. 1).
Nell’introduzione l’Autrice esplicita chiaramente che il volume non vuole essere “solo un compendio intorno al pensiero di Simmel. Esso ha come intento quello di chiarire problemi, di tracciare una linea interpretativa plausibile e di elaborare alcune soluzioni relative allo statuto del perturbante … avendo un punto di riferimento filosofico-sociologico, quello del pensiero simmeliano” (p. 3). L’intento della Fornari, dunque, è quello di contestualizzare e re-interpretare il pensiero di Simmel per mostrare come questo autore possa legittimamente diventare il privilegiato “compagno di viaggio” in un tour esplorativo nel grande continente della emozionalità sociale nella contemporaneità. Viene alla mente quel grand tour che, sino all’Ottocento, concludeva il percorso di formazione dei rampolli delle famiglie nobiliari del nord Europa: essi partivano alla “scoperta” dell’Europa in compagnia di un tutor avente funzione di orientamento e rassicurazione, di un “Mentore”, per citare il personaggio del romanzo di F. Fénelon (Suite de quatrième livre de l’Odyssée ou les aventures de Télémaque, fils d’Ulysse, 1699), che accompagna il figlio di Ulisse nel viaggio alla ricerca del padre e che, in qualche modo, personifica e incarna la sapienza. Se la Fornari assume Simmel come mentore per l’esplorare la dimensione della emozionalità e dei suoi vissuti nella società contemporanea, forzando l’analogia, ella riveste il ruolo di Telemaco e, dunque, ciò che anche cerca è non solo l’esplorazione di territori ignoti, ma una parte della propria (nostra) origine, ché l’emozionalità nel mentre ci diversifica e definisce, anche accomuna.
Nella prima parte del lavoro l’Autrice legittima la scelta di Simmel come guida: la vasta produzione simmeliana viene esplorata con l’intento di offrirne una interpretazione esaustiva ed accurata (testimoniata anche dalla completa rassegna delle traduzioni in italiano dei testi di Simmel e della bibliografia critica in italiano che completa il volume). L’accuratezza storico-filologica della ricostruzione del pensiero di Simmel consente di presentarlo come “antesignano” dell’attenzione della sociologia per i fenomeni di emotività sociale, per le tematiche “di genere” (gender sociology), nonché di acuto diagnosta della crisi-transizione della forma tradizionale della società pre-moderna a quella moderna: le sue indagini “sulla realtà emotiva e la sessualità degli individui nelle società moderne” rappresentano “il punto di vista privilegiato per comprendere le trasformazioni della realtà emozionale odierna” in quanto anticipatrici di tematiche ed elementi fondamentali per una lettura della società postmoderna. (pp. 6-8).
La spiccata sensibilità filosofica della Fornari, fa sì che, da subito, vengano individuati i concetti fondamentali intorno ai quali ruota l’intera produzione simmeliana e che danno coerenza ad un impianto che – nelle opere a stampa – risente spesso del carattere intenzionalmente asistematico e non-accademico che Simmel volle dargli. Il concetto di vita, principio incondizionato e intrascendibile (p. 34), “eterno fluire, un fiume arginato solo dalle regole sociali” (p. 21), da quelle forme che ne rappresentano dialetticamente le condizioni di intelligibilità, pur nella loro provvisorietà e nell’apparente opposizione al fluire stesso; il concetto di Wechselwirkung, interazione o relazioni reciproche, da intendere come vero e proprio “campo di forze”; il concetto di Vergesellschaftung, che indica “il processo mediante il quale si instaurano e si mantengono le relazioni di azione reciproca tra elementi sociali … le relazioni reciproche tra singoli attori sociali” (p. 22); il conflitto, come lotta contro ogni forma di irrigidimento, come dialettica vitale costitutiva (p. 47), conflitto tra forme e vita, tra individuo e società, tra passione e ragione; il relativismo: “il principio che orienta anche la dialettica conclusiva tra vita e forma” (p. 25), “osmosi tra soggetto e oggetto, immanenza e trascendenza” (p. 33), convinzione che nessuna “posizione abbracci realmente la totalità della vita” (p. 36); ecc.
L’Autrice è molto efficace nel ripercorre il dipanarsi dell’ordito della riflessione simmeliana: la teorizzazione della “filosofia della vita”, la distinzione tra cultura femminile e cultura maschile (pp. 21-81), l’analisi delle problematiche relazionali e della reticolarità sociale (pp. 83-133), i saggi dedicati alle tematiche “perturbanti” (l’amore, la sessualità, la civetteria, il pudore pp. 195-235). Il pensiero di Simmel viene adeguatamente interpretato e storicizzato, con particolare cura per la chiarificazione dei debiti culturali e filosofici; l’analisi sembra seguire l’ormai canonica scansione della riflessione simmeliana in tre fasi: influenza iniziale dell’evoluzionismo (Darwin, Spencer), dove, però, già emerge l’istanza di elaborazione di un paradigma post-positivista, con l’innesto di elementi presi dalla teorizzazione dei neo-kantiani; influenza che va accentuandosi negli scritti del primo decennio del Novecento, per sfociare nell’ultima fase, quella cosiddetta “metafisica”, dove – sulla scorta di Bergson, ma non solo -, Simmel elabora una vera e propria filosofia della vita, con una chiara adesione ad una posizione relativistica (pp. 24-26).
Contro la pretesa “affermatività” (sistematicità, definitività; nietzscheanamente: la volontà di sistema è volontà di menzogna) della filosofia, sia nella versione positivistica (“il concetto di spiegazione scientifica … che non riesce a render conto del carattere non naturalistico delle forme del sociale, dell’arte, della letteratura e del costume”, p. 41), sia in quella idealistica, Simmel vuole affermare una concezione del reale, una filosofia che “è il ricordarsi di sé della vita che si riproduce continuamente” (29), per valorizzare sino in fondo la sorgiva dinamicità del reale e della vita, dinamicità che non si lascia costringere all’interno degli schemi irrigiditi dell’intelletto e che lascia trasparire il fondamento “non-razionale” della vita stessa. Su ciò, però, la posizione interpretativa assunta dall’Autrice è quella ben sintetizzata da F. Fornari nella prefazione: “la Fornari ci aiuta … a liberare la lettura di Simmel da ogni pregiudiziale irrazionalistica … la reticenza, a volte ironica, del sociologo tedesco nei confronti della ‘ragione’ non può essere assunta nei termini di una sua incondizionata adesione al nichilismo di un’epoca dominata, irrazionalmente, dalla crisi di tutti i valori. Piuttosto, la sua radicale messa in discussione di una Ragione, è la via per dare riconoscimento effettivo a ciò che, di fatto, nella dimensione della prassi, l’attore sociale continuamente costruisce e ricostruisce per sopravvivere e vivere: le molte ragioni, ciascuna animata da una sua interna e irriducibile passione” (p. xix). Scrive infatti la Fornari: “Simmel … non crede che esista al mondo una qualche presa di posizione che abbracci realmente la totalità della vita … [ma] supera il relativismo attraverso la drammatizzazione di un rinnovato processo metafisico per avvicinarsi alla concezione vitalistica” (p. 36) e a una concezione della determinazione interna del nostro spirito come continua ricerca. Ora, è noto che si cerca solo se si è convinti che vi sia qualcosa da trovare, anche se il risultato non sarà la verità definitiva.
Inoltre, l’influenza dei neo-kantiani è rintracciabile nell’affermazione simmeliana di uno statuto relativamente autonomo del regno dei valori e del dover essere (in aggiunta a quelli dell’oggettivo e del soggettivo). Ideali, plurali e relativi, i valori hanno origine e radicamento nella formazione degli aspetti psichici che, a loro volta, sono la base delle relazioni intersoggettive (p. 33); non possono essere considerati dei veri e propri trascendentali, ma “forme della coscienza storica, individuali e collettive” (p. 42) non date una volta per sempre. L’intreccio tra filosofia e sociologia è costantemente rivendicato e praticato. Anche per questo Simmel è buona guida nel viaggio all’interno della post-modernità. Egli anticipa sì il rifiuto delle “grandi narrazioni” sistematiche ma, a differenza dei teorici del pensiero debole, sa che non si comprende niente del fluire vitale se non attraverso la concettualizzazione e l’individuazione di forme.
La dialettica tra fenomeno e profondità viene risolta nella precisa assunzione di una scelta di campo che non nega la superficie per il profondo, ma ricerca il senso profondo del frammentarsi superficiale: ché solo nel frammentarsi è visibile il fluire (cfr. p. 58). Certo, il frammento, nel mentre rivela, occulta; il frammento nega per se stesso di essere l’intero, ma il frammento porta con sé anche la nostalgia (Heimveh) dell’intero che, in esso, si sottrae, per ri-apparire (sentimentalmente) come “perturbante” (Unheimlich) in quelle forme di vita intime e personali come la sessualità e l’amore, in quelle “relazioni superflue come l’eccitazione, le perturbanti carezze, i baci mozzafiato, gli sguardi obliqui, i sospiri, le gelosie e le civetterie, i desideri appena sussurrati e i corteggiamenti” (p. 79) in cui l’analisi di Simmel (volta a rintracciare il senso profondo della nostra esistenza) ritiene di poter scorgere i momenti privilegiati in cui l’uomo e la donna manifestano più liberamente se stessi (p. 80).
L’analisi della conflittualità dialettica tra forme e slancio vitale, costitutiva anche dell’identità individuale oltre che di quella sociale, impone di considerare come oggetto della sociologia i modi e le forme di socializzazione segnate dalla azione reciproca tra i vari individui, le persone; di qui la necessità di una nuova metodologia sociologica, cui è sottesa una concezione antropologica in cui i sentimenti assumono posizione centrale (pp. 57-58). Di qui anche l’attenzione a quelle tematiche di “genere” – e, in particolare, del femminile – più marginali rispetto alle forme istituzionali (prodotti “maschili”). Le relazioni sociali vengono viste come interrelazioni di unità psichiche differenti (p. 83). La Wechselwirkung (interazione sociale) diventa un “principio metafisico omnicomprensivo” e, perciò, si sottrae alla dissoluzione scettico-psicologistica in quanto rappresenta il permanente, (p. 84), “la profondità della superficie”.
“Ponte e porta”: l’uomo è l’essere che collega e che separa, senza separare non può unire”; così è anche l’amore: mentre crea nuove forme anche ne distrugge altre, mentre unisce anche separa (p. 85). La relazione sociale ha dunque un fondamento “passionale” e si fonda sull’istanza di trascendimento costitutiva dell’autentica soggettività, quella che, in ambito sociologico, può essere definita come sociabilità, disposizione relazionale (p. 99). La società non è “sostanza, di per sé non è nulla di concreto; è un evento, è la funzione dell’ ‘agire e patire’, è il destino e la forma cui ciascuno va soggetto per via degli altri … se è vero che le uniche esistenze sono gli individui, … l’accadere, la dinamica dell’agire e patire (con cui questi individui si trasformano a vicenda) continua a darsi come qualcosa di ‘reale’e di indagabile” (Simmel, Forme e giochi di società, pp. 42-43, cit. a p. 101).
Di qui la concentrazione dell’interesse simmeliano sulla “costruzione dei legami sociali” e l’adozione di un modello esplicativo definibile come “reticolare” (in certo modo anticipatore della network analysis): nel cercare di “dare forma al proprio materiale di studio”, la sociologia dovrebbe essere capace di “riunire in sé la moltitudine degli interessi, dei contenuti e dei processi umani, fino a dimostrare che il loro manifestarsi concreto può avere luogo solo attraverso la Vergesellschaftung, l’associazione” (p. 95), la relazionalità reciproca e dinamica tra le parti (p. 98). “La rete è la rappresentazione più esemplificativa” del metodo di analisi simmeliano, che si sforza di individuare quei “legami che non rispondono ai meccanismi individuati dagli studi sui processi di socializzazione primaria e secondaria della sociologia classica” (p. 90). La dialettica tra individui e associazioni, o cerchie sociali, viene interpretata come dinamica di liberazione dell’individuo stesso, che è tanto più libero quanto più capace di entrare in relazione sociale; l’individuo, anzi, si definisce come punto di intersezione di queste molteplici cerchie e, “il numero delle varie cerchie nelle quali si trova il singolo è uno degli indici della civiltà” (p. 106). “ogni cerchia si definisce in base alle azioni reciproche che i soggetti del raggruppamento realizzano sulla spinta motivazionale e/o dei loro interessi personali” (p. 104); ogni individuo (determinato dalla molteplice intersezione delle cerchie cui afferisce) tende così ad occupare una posizione unica all’interno dello spazio sociale. Ciò rende irriducibile l’individuo alla massa, raggruppamento spersonalizzante e deresponsabilizzante, in cui l’emotività – mentre viene apparentemente esaltata – in realtà viene repressa, eterodiretta, narcotizzata appunto. Solo un approccio reticolare e relazionale è in grado di dare conto adeguato della dialettica interattiva tra individuo (l’attore sociale) e le varie cerchie (p. 123): realtà sociale e individuo sono realtà non contrapposte, bensì simbiotiche (p. 124). Se la società moderna ha definitivamente spezzato la struttura piramidale delle società tradizionali per sostituirvi una rete di giochi relazionali diffusi; lo sforzo scientifico deve essere indirizzato a comprendere i tanti ruoli che il singolo interpreta nello spazio sociale che occupa: per dirla con Geertz “l’uomo è un animale impigliato nelle reti di significato che egli stesso ha tessuto … la cultura consiste in queste reti (cit. a p. 132). Il vecchio lessico sociologico, imperniato sulle nozioni di valori, norme, ruoli, classi, strutture, non è più adeguato a descrivere la realtà sociale odierna (p. 137), una società in cui l’emergere di un’io sempre più narcisisticamente ripiegato su se stesso (Lasch), in cui l’ironia protettiva (Bauman) e un cinismo di facciata nascondono l’incapacità di affrontare adeguatamente l’incertezza (la “liquidità”), il disimpegno nei confronti del futuro, e una sorta di “ritirata emotiva di fronte agli impegni a lungo termine” (p. 135).
Questo è l’oggetto di studio della seconda parte del lavoro, in particolare del terzo capitolo, a giudizio di chi scrive il più penetrante. L’Autrice tenta, appunto, di sondare la profondità delle dinamiche emozionali nella società post-moderna, cercando la genealogia di questa ritirata emotiva attraverso un’analisi del modo di concepire la dimensione sentimentale più diffusa tra gli attori sociali della post-modernità; di qui la scelta della coppia concettuale dell’amore come “passione fredda” (pp. 135-186) o come “passione calda” (pp. 187-240). L’osservazione clinica della Fornari si fa sempre più partecipe e “appassionata”, attenta però a discriminare i “pregiudizi che illuminano da quelli che accecano” (per dirla con Gadamer).
Il viaggio di esplorazione all’interno della concezione dell’amore nella società contemporanea ha sempre Simmel come punto di riferimento privilegiato, ma non disdegna di indugiare in affiancamenti temporanei ad altri e più contemporanei diagnosti, quali (in approssimativo ordine alfabetico) Bauman, Beck, Bodei, Carotenuto, Fromm, Galimberti, Lasch.
Da un lato l’esaltazione della tecnica e della ragione (strumentale), dall’altro il malessere esistenziale diffuso, nonostante l’apparentemente ampia possibilità di parlare di sentimenti e di amore (p. 14); da un lato il culmine del processo di disincantamento del mondo operato dalla scienza-tecnica moderna, il quale, – recidendo il legame emozionale del singolo con il cosmo, i fenomeni naturali e la propria profondità – porta a compimento il processo di disumanizzazione (p. 145); dall’altro l’apparente intensificazione della vita nervosa, della eccitabilità emotiva, per dirla in formula: della emotività a scapito della emozionalità, della passionalità autentica (pp. 147-149). L’alienazione della realtà sociale (pp. 180-184), la oscura coscienza di vivere ritmi invasivi e alienanti, viene compensata dal “culto dell’intimità personale”, ridotto a “compensazione psicologica illusoria e ansiogena”, che produce “individui incapaci di rapportarsi con le emozioni più profonde e vive” e genera quel disperato tentativo di aggrapparsi a formule e ricette capaci di restituire quel senso che l’oggettivazione rende impossibile, rendendo in uno vane quelle formule terapeutiche che appartengono in toto alla logica dell’oggettivazione: il farmaco, nel pieno rispetto del senso greco del termine, nel mentre illude di curare, in realtà avvelena. Uno dei tratti della post-modernità è proprio la scomparsa dei cantori dell’amour-passion e il sostituirsi ad essi dei “terapeuti”: alla “passione amorosa” si sostituisce la “patologia amorosa” (p. 140)
La ragione strumentale, oggettivante, porta allo “avvizzimento emotivo e alla scomparsa della solidarietà” (Bodei, cit. a p. 144). Di qui anche la fuga nevrotica dalla noia attraverso la moltiplicazione degli impegni, l’assolutizzazione della routine, la negazione radicale della libertà del tempo (nel tempo libero, l’assenza di cose da fare, consente al montaliano “male di vivere” di affiorare alla coscienza). In questo contesto, cioè, le emozioni più autentiche, profonde e vive non possono che essere “narcotizzate” (pp. 140-149): perciò l’amore diventa “passione fredda”, in quanto perde “la sua identità più pura”: un amore “che è incapace di esprimere puramente la sua vera natura”, nonostante che venga “studiato al microscopio” e “dosato”, fatto oggetto di prescrizioni (medico-scientifiche). Nonostante l’apparente proliferazione rizomatica del desiderio: la forma del desiderio amoroso post-moderno “allontana da sé l’idea di trascendenza per divenire una forma smisurata di possesso. Desiderare diventa sinonimo di possedere … siamo diventati avidi di oggetti, ma anche di sentimenti, di emozioni, sensazioni, che desideriamo in senso quantitativo e non in senso qualitativo e trascendente” (p. 141). La bulimia del desiderio amoroso, l’enfatizzazione mediatica del discorso amoroso, sono mirate alla trasformazione del desiderio di realizzazione di sé in desiderio di possesso-consumo (p. 142) che – dimenticando che il desiderare rimanda sempre alla infinità stellare (de-sidera) dell’intero che solo sazia – rende possibile un controllo sociale dello stesso desiderare, perché ridotto solo alla ricerca di ciò che il “mercato delle emozioni” comunque offre, dove la tecnologia e la chimica sempre più sostituiscono il sentimento autentico.
In questo quadro, le forme tradizionali di relazione amorosa, a cominciare dall’amore di coppia, dal matrimonio, dalla famiglia, non possono non entrare radicalmente in crisi (pp. 149-160); la quotidianità della vita metropolitana moltiplica i contatti, ma tende a sterilizzarli, a renderli impersonali; l’energia passionale viene indirizzata verso una congerie di “oggetti” di consumo e, perciò, viene entropicamente dissipata; lo sforzo di mantenimento della passionalità del legame amoroso viene sempre più piegato al calcolo dell’interesse egotico (p. 155). Emblema ne è il blasé, studiato da Simmel, incapace di provare emozioni profonde e di rapportarsi al reale senza la mediazione del denaro e della logica utilitaristica (pp. 156-157). Le relazioni generate dalla passione fredda risentono dell’impoverimento della comunicazione amorosa, nell’apparente superficializzazione del discorso amoroso, sempre meno capace di comunicare la profondità e l’intensità del sentimento: per dirla con Lasch, “il culto dei rapporti personali … nasconde una diffidenza per i rapporti umani” (cfr. p. 173).
Il carattere “liquido” della post-modernità finisce per ridurre le relazioni personali più profonde a strumenti occasionali per la realizzazione di sé, sempre più pensata come estranea alla dimensione del trascendimento nell’altro: “la sola idea di entrare in contatto con qualcosa di più profondo ci riempie di angoscia” (p. 180) e perciò induce alla fuga, alla neutralizzazione dell’investimento emotivo profondo. Relazioni sempre più interessate, fredde, superficiali, lasciano costitutivamente inappagata la profondità evocata dal desiderio amoroso; si perde la stessa consapevolezza della ragione dell’inappagamento e il desiderio vira perciò in rabbia inespressa (p. 178) che non trova altra via di uscita se non nell’assolutizzazione del miglioramento (tecnico-artificiale) del proprio stato psichico: il ben-essere non più come “essere nel bene”, ma semplicemente come sentirsi bene; un “sentirsi bene” sempre più spesso ridotto a “non sentire”: di nuovo la narcosi. Ora, come annota (citando Weber) in un corollario molto “sentito” la Fornari, l’amore ci mette in contatto con il nucleo più profondo e autentico della nostra personalità e di quella altrui; ma l’amore autentico è quello che si apre a quella dimensione così profonda di trascendenza che sfocia nell’indicibile, nel “mistico”. Solo quest’amore è capace di liberarci dalla ottusità dell’homo faber (p. 185) e di dare senso alla nostra vita.
Ma quest’amore è passione calda, non fredda. E allora bisogna tornare a comprendere l’aspetto vitale ed energetico profondo della passione amorosa, “l’unico spazio a disposizione degli uomini – nella società tecnicamente avanzata – per manifestare ancora una profondità di espressione … ultimo spiraglio di libertà per l’individuo” (p. 188). Ancora Simmel si mostra buon mentore. I saggi simmeliani dedicati alle tematiche dell’amore, della sessualità (e dell’educazione sessuale), della prostituzione, della Koketerie (la civetteria), del pudore, indagati con garbo e finezza, mostrano – nella lettura della Fornari - ancora la loro efficacia euristica ed ermeneutica. Nella interpretazione simmeliana l’amore è bisogno di trascendenza nell’altro come unica via alla realizzazione di sé, funzione “della totalità relativamente indifferenziata della vita” (p. 191). Va indagata, però, in quelle forme meno istituzionalizzate e più libere dalla logica del possesso: i migliori risultati, come ben mostra la Fornari, Simmel li raggiunge nel saggio sulla civetteria, l’arte del flirtare come arte tipicamente femminile di giocare la dialettica tra ritrarsi e concedersi, tra avere e non avere, tra Sì e No, in cui la relazione mostra la sua strutturale ambivalenza; in quello sull’avventura (“forza che conquista e concessione che non si può estorcere, acquisto con i propri mezzi e abbandono alla fortuna che ci viene dispensata dall’imponderabile” p. 208); in quello sul pudore (“sentimento di rivolta”, mezzo difensivo dell’intimità degli individui contro gli attacchi esterni degli altri attori sociali” “meccanismo di difesa dello sguardo altrui” “unico atteggiamento autentico dell’uomo che voglia costituirsi come individuo socialmente inserito, ma anche autonomamente configurato” pp. 230-231).
La passione amorosa, “calda” “è la rappresentazione più ampia dell’amore, dei sentimenti più puri, di quella che è possibile riconoscere come ‘amour-passion’, una forma di passionalità che sembra non incontrare ostacoli lungo il proprio cammino … quella passione che è la ricerca della trascendenza nell’altro da sé” (p. 16), superando ogni conflittualità dualistica; ma è costretta a scontrarsi con la scissione tra emozioni e ragione che rappresenta l’attuale Welt-Geist. Anche l’amore come passione calda vive, però, una sua strutturale tragicità: al “bisogno insopprimibile di trascendersi nell’altro”, di “stabilire una relazione pura nel suo darsi” (pp. 195-196), si contrappone l’essere l’amore ricerca e tentativo spesso destinato alla frustrazione (“le nostre storie non sono romanzi rosa, l’esaltazione dell’idea dell’amore si scontra con la realtà quotidiana” p. 154), in quanto la serietà del gioco amoroso impone l’accettazione della necessità di una profonda e continua metanoia, un trasformarsi nel profondo. L’amore come passione “calda” è letteralmente un processo ‘estatico’, impone l’uscita da sé (ex-stasi) nel tentativo di realizzare la verità profonda di sé; perciò è lacerazione, ferita (“ferita superficiale che lacera l’involucro della nostra esteriorità consentendoci di poter ascoltare le richieste della natura più profonda e nascosta dell’io” scrive in conclusione la Fornari, p. 239), ferita che non sempre è destinata al lieto fine (“unione, perdita, riunificazione” sono momenti costitutivi della passione amorosa; “l’imponderabilità dell’amore è evidente nella storia di ogni amore” p. 196).
Facendo proprio l’augurio che chiudeva i “Comizi d’amore” di Pasolini (1965), si legge: “il mio augurio sia che al vostro amore si aggiunga la coscienza del vostro amore”. L’intento finale del lavoro che qui si recensisce è per l’autrice quello di offrire strumenti di analisi per comprendere in profondità la crisi dei vissuti emozionali nella post-modernità, per poter trovare inedite ed attuali vie di autenticazione della propria esistenza e di modalità ri-conciliate con la profondità e autenticità del passionale. Il nodo è appunto quello della “coscienza dell’amore” (p. 236). In ogni fase della vita è presente un problema di conoscenza e di consapevolezza; se si pretende di considerare conoscenza e consapevolezza solo quella generata dalla ragione calcolante, se cioè l’amore viene sottoposto al tribunale della ragione calcolante, l’amore ha già perso. Il dilemma amore-ragione è il dramma della contemporaneità, come sostiene anche Bauman (p. 189). La Fornari, pertanto, ha già segnato le linee maestre dei prossimi viaggi di scoperta: approfondire la dinamica della narcotizzazione delle emozioni nonché le crepe di questo processo, per poter individuare forme di relazionalità capaci ancora (di nuovo) di dare senso alla vita e dei singoli e delle relazioni sociali. Per ciò avrà bisogno di individuare e far emergere altre forme di razionalità non opposte ed ostili alla passione, ma intrinsecamente fuse con essa, una ragione capace di ascoltare e comprendere il pascaliano “ordine del cuore”. In questo senso credo che debba essere letto l’intento finale dichiarato dall’Autrice: indicare “una fattibile difesa dell’amore” (p. 190), unica via per elaborare un “rapporto armonioso del soggetto con la società” (p. 238), una prassi di autenticazione esistenziale e sociale, una prassi di liberazione, disalienante ché – per dirla ancora con Simmel – “solo colui che ama è uno spirito veramente libero. Perché solo lui va incontro a ogni persona con quella capacità e inclinazione ad accettare, a giudicare partendo dalla persona stessa e a percepire pienamente tutti i suoi valori”, nella fondata speranza che “la persona che ama non si lascia ostacolare da nulla nel rapporto intimo con l’altra […] L’odio non è altrettanto completamente libero nei confronti dei valori positivi dell’altro, come invece lo è l’amore nei confronti dei suoi valori negativi” (cit. a p. 240).
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