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Alfio Vecchio
Del ‘certo’ e del ‘vero’
Per un’etica antropologica
Settori disciplinari:
M_FIL_04
M_FIL_01


Isbn: 9788860744005
Collana: Saggi e studi di filosofia

Anche nel moltiplicarsi di fattori di giudizio storici, sociali, politici, l’arte può sempre risultare metro di misura essenziale del suo tempo ben valutabile, attraverso il linguaggio formale ch’essa elabora, nell’effettiva consistenza esistenziale e umana.È facile intendere, allora, come l’arte ‘chiara’, della ‘proporzione’ e dell’‘armonia’, l’arte della ‘figura’ e dell’‘immagine’, trattate ovviamente nei modi più liberi e spregiudicati, sottintenda sempre un qualche sicuro ed equilibrante riferimento interiore, una rete di ‘certezze’ comunque decifrabili e registrabili formalmente attraverso piani estetici di possibile ‘riconoscimento’ esteriore, sicché l’arte stessa diviene comunque proiezione e suggello di valori, verità, ideologie che, improntandola, la giustificano e più o meno direttamente l’alimentano.Ma quando le linee di armonia si intricano e si spezzano producendo l’oscuro dell’‘informe’, quando l’arte rinuncia al suo stesso articolarsi in ‘generi’, rimescolandosi e via via regredendo a esposizione di ‘materiali’ solo detritici nemmeno più ‘informati’ dall’idea che li trasforma in ‘oggetti’, infine rinunciando anche ad essi in una ‘smaterializzazione’ ‘azionistico-gestuale’ episodica e contingente rappresentata da effimere, ‘performanti’ ‘presenze’ corporee perfettamente inquadrabili nella cancellazione più totale di un sia pur minimo ‘presentimento’ d’accertabilità espressiva, allora il ‘discorso’ dell’arte cambia, non può essere più inteso come semplicemente ‘formale’, né può più affrontarsi su ‘specialistici’ binari di indagine ‘estetica’. Attraverso l’‘oscurità’, la passiva accondiscendenza alla ‘materia’, l’evaporazione nella caduca volatilità della momentanea ‘performance’, l’arte di fatto pare voglia distogliere lo sguardo da sé, dai suoi residui canoni esteriori, dal suo stesso ormai labile perimetro di oggettiva rilevanza. Quasi afflitta – in una società che solo assai marginalmente la prevede – da una sorta di indirettamente ‘significativa’ ‘cianosi formale’, diviene occasione critica di ‘altra’ indagine, si trasforma in una sorta di funzionale, efficacissimo a saperlo intendere, ‘segnale di pericolo’, in ‘grido di allarme’ dicendoci col suo linguaggio, fattosi appunto non a caso ‘oscuro’, che la matrice umana da cui nasce è lacerata, non c’è più, allora forse sollecitandoci a non applicarci ancora allo specifico fatto artistico (‘quel’ quadro, ‘quella’ scultura) in realtà ormai inconsistente, ma proprio di nuovo all’uomo da cui deriva e viene ‘prodotto’, provando a risituarlo in un universo forse ormai disadatto a comprenderlo come ‘interiorità’ e pensiero dopo le feroci tenebre belliche novecentesche. E quanto più è radicale l’‘indecifrabile’ che l’arte testimonia, tanto più radicalmente differente deve essere l’approccio alla condizione umana, da svilupparsi su percorsi di pensiero diversissimi dagli usuali ormai forse sterili, temerariamente cimentandosi su altre scansioni e prospettive concettuali – qui l’alternativa antropologica iniziale con le correlate, molteplici (speculativo-‘religiose’) implicazioni riflessive – per vedere se è ancora possibile rintracciare dell’uomo una qualche fisionomia ‘positiva’, quindi non tarata per sempre dai suoi già virtualmente innescati epiloghi di estinzione per violenza e male, traendo proprio dalla nostra ‘immanenza’, accettata come riferimento assai arduo ma necessario per proporre in modo serio, costruttivo una qualche prospettiva d’indagine, non solo generiche scelte esistenziali ma, anzitutto, i termini differenti di un ‘reciproco corrispondere’, un differente, solidale confrontarsi, cioè, in estrema sintesi, di una differente ‘morale’ – ‘antropologica’, date le premesse –, unico presagio valido, a questo punto, di almeno presumibile futuro (e quindi, per tornare all’esordio-‘pretesto’ estetico iniziale e chiudere il cerchio, anche di solo ipotizzabile, per ora, ‘arte nuova…’).Alfio Vecchio insegna all’Università degli Studi di Siena (sede di Arezzo).

Informazioni sull'autore
Alfio Vecchio (Il Romanticismo Italiano, 1975; Arturo Onofri negli scritti critico-estetici inediti, 1978; ‘Una Peccatrice’ e la genesi della ‘personalità’ verghiana, 1981; L’“io” e la forma, 1991; Ipotesi per un’estetica antropologica, 1992; “L’umana compagnia”, 1997; ‘Il cerchio si chiude’: attualità estetica dell’interpretazione futurista di Giovanni Papini, 2003) insegna Letteratura Italiana Contemporanea presso l’Università di Siena (Fac. Lettere di Arezzo).

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