Non si tratta di promuovere il mito tutto in positivo di Soffici e dei fiorentini per ribaltarne l’immagine abituale: quella dei malevoli “sequestratori” del manoscritto dei Canti Orfici e degli “sbirri” della letteratura; ma di riportare piuttosto la riflessione critica nell’alveo di una normalità che sembra interdetta quando si parla di Campana, evitando di ripetere i luoghi comuni del poeta derelitto e del reietto. Un tenace complesso mitologico in cui il personaggio non fa un favore alla comprensione dell’opera e di cui, va aggiunto, lo stesso Campana è in larga misura responsabile. In realtà Soffici per Campana è, quasi per eccellenza, «un’anima moderna», l’intellettuale a cui nel dicembre del 1917 affida la sua «fede nel destino di noi tutti e del nostro paese». Senza «Lacerba» e senza i testi che Soffici pubblica su «Lacerba» – il Giornale di bordo, ma anche gli scritti sull’arte – mancherebbe la riflessione sull’arte e la letteratura con cui si confrontano Il più lungo giorno e poi i Canti Orfici. Mancherebbe soprattutto lo spunto materiale per scrivere La Verna, che è il capitolo centrale del libro.
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