È Rilke poeta nel tempo indigente? Questa la domanda che Heidegger si pone in Wozu Dichter...?, lasciandola però senza risposta. Se il saggio del ’46 oscilla tra la marcata presa di distanza e l’involontario tradimento dell’innegabile fascinazione che la poesia rilkiana esercita sul filosofo, in un componimento poetico della tarda maturità, Heidegger sembra riconoscere a Rilke la dignità di autentico poeta epocale.
La ragione dell’iniziale rifiuto di qualsiasi affinità con il poeta praghese è da ricercare sia in scrupoli di carattere biografico quanto nella sovrapposizione della poesia rilkiana alla filosofia di Nietzsche. Così le forzature che operano nell’interpretazione heideggeriana del pensiero nietzscheano si riflettono anche su quella riservata alla poetica di Rilke, inquadrati entrambi in una lettura che finisce per metterne in luce solo i tratti metafisici.
Il presente lavoro propone una lettura delle Elegie Duinesi volta a evidenziarne le tematiche affini al pensiero heideggeriano. Attraverso l’analisi di alcune figure fondamentali del ciclo elegiaco, come il “gioco di specchi” che è l’Angelo rilkiano, viene delineato il terreno comune a entrambi gli autori: la consonanza di pensare e poetare nell’indicare il compito dei mortali nel tendere “oltre”, verso quel metà che la metafisica, nel corso della sua lunga storia, ha sempre più dimenticato.
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