Ci sono stati pochi imprevisti o colpi di scena. L’omicidio di Maria Geusa non è stato un thriller con gli itinerari investigativi disseminati di trappole. Non è stato un giallo con la soluzione che arriva solo alla fine. Non è stato un noir con i cattivi tra i personaggi che non t’aspetti.
Tutto, se la qualità di un’indagine si potesse misurare a spanne, si è risolto in Giorgio Giorni: il movente è nella sua mente, l’arma del delitto sono le sue mani, c’è solo lui sulla scena del crimine, la scena del crimine è di sua proprietà.
La scena mediatica, invece, è stata calcata sempre da una sola protagonista, Tiziana Deserto, madre infausta che con volto duro e sguardo assente avanza tra i riflettori verso un tribunale che non concede attenuanti dinanzi all’orrore.
Dietro le quinte, ad attendere un responso già scritto, Massimo Geusa, marito e padre che non rinuncia a sostenere l’innocenza della moglie, difendendo, con lei, un ideale di famiglia irrimediabilmente infranto.
Questi gli attori di un dramma che ha sconvolto una coscienza collettiva disorientata e alla strenua ricerca dei propri valori.
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