«Rispetto ai numerosi studi che negli ultimi anni hanno cercato di fare il punto sulla coppia patria-letteratura, il libro di Monica Venturini sposta il baricentro dalla prosa alla poesia, ma soprattutto prolunga il discorso verso un Novecento che non ha intrattenuto un rapporto semplice con il concetto di patria. Dal nostro tempo appare anzi ormai piuttosto chiaramente che il XX secolo è stato diviso in due metà quasi simmetriche, in cui si è passati di colpo dall’imperativo di cantare l’Italia all’imperativo negativo opposto, quando la stessa parola “patria” per parecchi decenni è sembrata impronunciabile nel discorso pubblico, prudentemente sostituita dal più modesto, rassicurante e soprattutto non aggressivo “paese”. […] L’unità discontinua è un libro che, nel fare storia letteraria del nostro recente passato, è innervato soprattutto da una autentica preoccupazione per il nostro presente, tra proiezione sovranazionale, nostalgie sovraniste, liquefazione delle identità e dei confini sotto la spinta di un Capitale senza più freni. Prima che il “bel paese là dove ’l sì suona” diventi definitivamente Eataly, vale la pena di farsi guidare da queste pagine nel malessere civile dei poeti italiani del XX secolo».
(Dalla Prefazione di Gabriele Pedullà)
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