Come avviene per gran parte dei diari e degli scritti autobiografici, soprattutto di autori che non sono intellettuali o scrittori professionisti, anche il diario di Attilio Bagnetti non era stato destinato dall’autore alla pubblicazione. Tornato a casa dalla prigionia, dopo aver usato le pagine e gli spazi rimasti in bianco del quaderno che contiene il diario per annotarvi principalmente alcune spese quotidiane ed elenchi di cose da comperare o da scambiare, Bagnetti ha riposto il manoscritto in un baule della soffitta. In quel baule, infatti, lo ha trovato il figlio di Attilio, Maurizio, molti anni dopo la sua morte. A nessuno dei figli Attilio aveva rivelato di avere scritto un diario; anzi, così ricorda Maurizio, era davvero raro che parlasse della guerra o della prigionia e, le poche volte in cui lo faceva, non amava soffermarsi troppo sui particolari o sulle sue esperienze da prigioniero. Probabilmente, questo è un tratto peculiare del suo carattere, schivo e riservato, oltre che il sintomo, comune a molti Internati, della volontà di dimenticare un periodo traumatico e oscuro della propria esistenza, in cui da giovane agricoltore e indispensabile sostegno per la propria famiglia era stato ingiustamente chiamato a prendere parte a una guerra dove i soldati come lui combattevano per lo più per dovere e con rassegnazione, piuttosto che con l’entusiasmo tipico degli ufficiali. «La bibliografia della seconda guerra mondiale - ha scritto Nuto Revelli - comprende centinaia di diari, racconti, memorie. Ma come sempre sono i cosiddetti “colti” che hanno scritto anche per gli “umili”, per i “non colti”. […] Mancava la guerra del contadino, del montanaro, del manovale, del povero cristo tubercolotico, malarico, nefritico, la guerra che non finisce mai». Il motivo per cui il manoscritto viene pubblicato senza temere di violare la riservatezza dell’autore è, dunque, quello di offrire una testimonianza di un vissuto privato che diventa memoria collettiva di una classe sociale che ha poco raccontato, in prima persona, le proprie vicende.
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