I saggi raccolti in questo volume parlano di romanzi, racconti, reportages, lungometraggi e documentari usciti diversi anni fa, eppure, alla luce delle ansie post-pandemia, queste opere restano attuali, e raccontano il nostro paese in presa diretta, con uno sguardo ad altezza-uomo che mostra soggetti in difficoltà, con il fiato corto e, nei casi peggiori, addirittura senza fiato. La narrativa e il cinema italiani del ventunesimo secolo hanno rappresentato e continuano a rappresentare, come un vero e proprio work in progress, le trasformazioni socioeconomiche dei nostri tempi, portando alla ribalta storie di uomini e donne che, per un motivo o un altro, faticano a trovare un impiego e, se ce l’hanno, vengono sottoposti ad un costante ricatto. Il lavoratore del nuovo millennio rimane un soggetto precario, in ostaggio, che ha perso tutte le sicurezze e che si trova sempre costretto a prendere decisioni difficili. “Meglio morti o disoccupati?”, si chiedono alcuni operai incontrati dal regista Tavarelli. Meglio lottare per proteggere i propri diritti e rischiare così il licenziamento, o stare in silenzio e accettare condizioni di lavoro umilianti e pericolose? Sono, queste, alcune delle domande che siamo costretti a farci nel momento in cui, empaticamente, usufruiamo di queste opere, letterarie o cinematografiche che siano. Il titolo scelto, Il gioco delle sedie, riassume questo senso di incertezza, e fa riferimento a quanto scritto da Bauman alcuni anni fa in un suo saggio intitolato Vita liquida, in cui il sociologo polacco definisce la vita nella società contemporanea come una versione nefasta del gioco delle sedie. Questa metafora mi sembra pertinente anche quando applicata al mondo del lavoro che, oggi più che mai, sembra essere una perversa gara ad eliminazione in cui anche i “giocatori” più preparati possono venire esclusi, in ogni momento, dal gioco, con poche possibilità di essere reintegrati.
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