Nel pensiero di Simone Weil, e in tutta la tradizione greca da Omero a Platone, la virtù è soprannaturale, mentre la santità si realizza attraverso il possesso delle virtù contrarie: concepire l’unità dei contrari è il movimento proprio della parte divina dell’anima. «Ecco perché – scrive Simone Weil – bisogna aderire a ciò che è comune. Poiché ciò che è comune unisce». Un compito, si potrebbe aggiungere, che è necessario risolvere accettando di vivere nel tempo, accettando la necessità senza sottostare alla forza.Intorno a questi due concetti fondamentali della pagina di Simone Weil, il libro propone una larga “navigazione”, segnando una possibile rotta nei testi della filosofa francese, cercando l’approdo in una rinnovata declinazione tra necessità e forza, tra l’attrazione dell’amore e della grazia divina e l’attaccamento alla materia, tra decreazione e incarnazione, tra vuoto e pieno. Una declinazione che si scoprirà impossibile, simile al rapporto di pesi in equilibrio che fuggono la forza di gravità; un punto sottratto all’orrore della forza che non si risolve contestualmente, per ciò stesso, nella sola necessità. Sappiamo, sulla scorta di Simone Weil, il problema come insolubile: non resta che chiarirne i termini, instancabilmente; che contemplarlo senz’altro, fissamente, «per anni, senza nessuna speranza, nell’attesa».
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